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Sentenza

Autorizzazione paesaggistica - Diniego - Montagne - Attività estrattiva - Modifi...
Autorizzazione paesaggistica - Diniego - Montagne - Attività estrattiva - Modifica dello skyline - Taglio della sommità del crinale - Immediata percettibilità dallo studio fotovisuale presentato in sede di VIA - Legittimità del diniego
Consiglio di Stato, Sezione 4

Sentenza 28 settembre 2020, n. 5649
Data udienza 16 luglio 2020



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1234 del 2020, proposto dalla Ditta Al. Va. Marmi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pi. Ch. e An. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Ma. in Roma, Via. (…);

contro

il Comune di Carrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati So. Fa. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

il Ministero per i Beni e le Attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Azienda Usl Toscana Nord Ovest, Regione Toscana, Arpat - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 1020 del 2019, resa tra le parti.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Carrara e del Ministero per i beni e le attività culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 - tenutasi in videoconferenza da remoto - il consigliere Silvia Martino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

    Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Toscana, la Ditta Va. Al. Marmi, esponeva di essere una primaria impresa del settore marmifero e di avere in esercizio nel territorio del Comune di Carrara la cava n. 67 "Bettogli Zona Mossa", ubicata nel bacino estrattivo n. 2 di Torano (a confine con le cave n. 102, 66, 68, 70 e 103) che, unitamente alle cave 105 e 106, identificano, nel loro insieme, le cave del comprensorio estrattivo Calocara-Bettogli.

Il piano di coltivazione in essere, autorizzato a seguito di proroga, era in scadenza il 22 aprile 2019, senza che fossero stati estratti tutti i materiali autorizzati.

Essa era quindi intervenuta nel procedimento avviato da altre cave per l'adozione di un piano coordinato del comprensorio Calocara/Bettogli ed aveva quindi richiesto l'attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi della legge della Regione Toscana n. 10/2010, per un nuovo piano di coltivazione della cava, coordinato con le altre cave.

1.1. Rilevava in particolare la società ricorrente che, nonostante non vi fossero pareri negativi specifici sulla cava 67, la conferenza di servizi attivata in seno alla procedura di VIA si era conclusa negativamente per essa, con il conseguente provvedimento di rigetto n. 93 del 29.1.2019.

La società evidenziava altresì che i rilievi contenuti nei verbali della conferenza dei servizi e negli allegati pareri facevano tutti riferimento al tema dello sbassamento del c.d. "Zucchetto", ovvero del breve tratto di rilievo/crinale residuo posto al margine del perimetro della limitrofa cava 102, tema che però non avrebbe riguardato in alcun modo la cava della odierna appellante.

    Le censure articolate dalla società in primo grado venivano sintetizzate dal TAR come segue:
    a) Difetto di motivazione di istruttoria, travisamento dei fatti e contraddittorietà: non vi erano pareri negativi sulla cava in esame e quindi non erano comprensibili le ragioni della conclusione negativa della conferenza dei servizi; il parere della USL secondo cui "le coltivazioni proposte a cielo aperto per le cave n. 102, 66 e 67 non possono prescindere da un alleggerimento dell'ammasso roccioso sovrastante", non era giustificato perché nella cava 67 non è presente alcun ammasso roccioso sovrastante, che è invece presente nella cava n. 102, la cui proprietà aveva previsto un piano di alleggerimento; c'era il parere negativo della Soprintendenza ma esso non poteva riferirsi alla ricorrente perché nella sua pertinenza non sussiste alcuna erosione del profilo montuoso; all'uopo, la società impugnava peraltro anche la determinazione n. 95 del 29.1.2019 relativa alla cava n. 102;
    b) Vizio di istruttoria e motivazione sotto altro profilo, poiché difettava nei provvedimenti impugnati qualsivoglia argomento, motivazione riferita o anche solo riferibile alla ricorrente che potesse giustificare il diniego ad essa opposto; in ogni caso parte ricorrente deduceva la violazione dell'art. 17 comma 13, lett. c) del PIT e travisamento dei fatti nonché difetto di istruttoria, non ricorrendo nella specie i presupposti per l'applicazione della suddetta normativa;
    c) Contraddittorietà della decisione e difetto di adeguata istruttoria, giacché, sebbene la VIA avesse ad oggetto l'esame dei piani coordinati di valutazione, solo in relazione ad alcune cave si era giunti ad esito negativo;
    d) Violazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990, stante il breve termine di 10 giorni assegnato per la presentazione di osservazioni, troppo breve in relazione alla complessità della fattispecie, con la conseguenza che la ricorrente non aveva potuto presentare osservazioni;
    e) Sviamento e mancato contemperamento di contrapposti interessi, essendo mancato il confronto tra l'interesse paesaggistico oggetto della salvaguardia con gli interessi privati/collettivi/diffusi coinvolti nel procedimento.
    Il TAR, nella resistenza del Mibact e del Comune di Carrara, rigettava il ricorso, con compensazione delle spese.
    La sentenza è stata impugnata dalla ditta, rimasta soccombente, attraverso la riproposizione, in chiave critica, delle doglianze già articolate in primo grado.

Nello specifico, essa ha dedotto:

    Violazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990 (diritti partecipativi). Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto assoluto di motivazione o motivazione meramente apparente. Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.).

L'appellante ha ribadito che il termine di 10 giorni concesso dal Comune per presentare osservazioni sarebbe stato palesemente incongruo a garantire l'effettività dei diritti partecipativi, attesa la complessità delle questioni trattate ed i rilevantissimi interessi economici coinvolti;

    Violazione e falsa applicazione del PIT, Disciplina di Piano, art. 17, comma 13, lett. c). Travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria. Violazione dell'art. 17, comma 16, della Disciplina di Piano del PIT.

Le argomentazioni contenute nel verbale di conferenza di servizi riferite alla cava 67, non sarebbero riconducibili alla situazione di fatto in cui versa la cava della odierna ricorrente, la quale è stata peraltro favorevolmente valutata dalla Commissione comunale per il paesaggio.

Ove poi si ritenesse che la realtà di fatto delle cave contermini sia tale da incidere sulle condizioni di sicurezza e stabilità della cava gestita dalla ricorrente, ben avrebbe potuto la ASL intervenire formalmente con un provvedimento di sicurezza idoneo a rimuovere la situazione di eventuale instabilità.

In definitiva, se il problema della cava 67 è da ricercarsi nell'ammasso roccioso esistente nella cava 102 (non già in quella della ricorrente), diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure, alla ASL sarebbe bastato ordinarne la rimozione nella misura ritenuta necessaria alla prosecuzione delle attività, nel pieno e corretto esercizio dei suoi poteri al riguardo; oppure ancora più semplicemente sarebbe bastato approvare il piano di coltivazione proposto dalla società che gestisce la cava n. 102, che prevedeva lo sbassamento della sommità.

II.1 La ricorrente ha peraltro impugnato, in quanto correlato al diniego che la riguarda, anche il rigetto dell'istanza di VIA relativo alla cava n. 102.

Sulla base delle pertinenti disposizioni del PIT della Regione Toscana (in particolare l'art. 17, comma 3, lett. c), ha in primo luogo dedotto l'amministrazione avrebbe dovuto accertare, con adeguata istruttoria, la contestuale sussistenza di almeno due condizioni:

    a) l'integrità morfologica dei luoghi;
    b) l'eventuale interferenza significativa del progetto su tale integrità.

L'appellante ritiene invece che, nella fattispecie, non vi sia alcun crinale caratterizzato da integrità morfologica, in quanto la porzione di rilievo/crinale originario che viene in parte interessata dal piano proposto è la parte residua di un più ampio crinale territoriale che da decenni non è più morfologicamente integro, perché interessato da molteplici interventi.

Sebbene la circostanza sia verificabile ictu oculi, l'appellante ha comunque articolato, al riguardo, una richiesta di verificazione o CTU (ex artt. 66 e 67 CPA), richiamando le istruzioni della Commissione Europea (Guida all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva "Habitat" 92/43/CE, pag. 40; Documento di orientamento CE alle attività estrattive non energetiche in conformità ai requisiti di Natura 2000, pag. 64) secondo cui "La connotazione o il significato di «integrità» possono essere considerati una qualità o una condizione di interezza o completezza o anche, in sintesi, per "integrità" si intende la qualità o la condizione di essere intero o completo".

Coordinando tali nozioni con gli Obiettivi di Qualità del PIT-PPR, Ambito n. 2 Versilia - Costa Apuana, Scheda dei bacini estrattivi n. 15, ne conseguirebbe l'assoluta impossibilità di far corrispondere e coincidere le singole parti/porzioni del crinale interessato con l'intero, risultandone evidenti le alterazioni fisiche.

La porzione di rilievo/crinale in esame sarebbe cioè solo una porzione residua (isolata e frammentata) del più ampio crinale territoriale originario già non più integro.

La zona è infatti interessata da secoli dall'escavazione del celeberrimo "marmo di Carrara" e le aree estrattive fanno ormai parte dei caratteri del paesaggio (Ambito n. 2 Versilia - Costa Apuana del PIT, pagg. 14 e 15).

L'intervento di sbassamento oggetto del presente caso, funzionale alla prosecuzione delle coltivazioni, sarebbe del tutto coerente con il suo contesto non modificando affatto la riconoscibilità dei luoghi, anche quale panorama di cave (cfr. D.M. 24/10/1968).

Al riguardo, il TAR avrebbe:

    a) equivocato palesemente il significato del parere della AUSL;
    b) dato rilievo decisivo alle posizioni della Soprintendenza, sebbene le stesse non fossero, a dire della ricorrente, supportate da adeguata istruttoria;
    c) dato per scontato, pur in assenza di verificazione o consulenza, che il crinale sia ancora "integro"; d) presunto che vi siano piani di coltivazione alternativi.

In particolare, relativamente al parere della AUSL, il TAR non avrebbe considerato che, secondo l'art. 17, comma 16, del PIT, le esigenze di tutela della sicurezza costituirebbero una eccezione motivata al regime vincolistico delle cave.

Nel caso di specie, il parere della AUSL sarebbe quindi da interpretarsi nel senso che la garanzia delle lavorazioni poteva giustificare una deroga al criterio di salvaguardia assoluta del crinale.

Il primo giudice avrebbe poi condiviso il parere della Soprintendenza senza verificare se esso fosse frutto di una adeguata istruttoria e se comunque fosse corrispondente alla verità oggettiva dei luoghi;

III. Carenza di adeguata motivazione e di adeguata istruttoria (art. 3 e segg. legge n. 241/1990).

La ditta ha ribadito che, agli atti della conferenza di servizi, non vi sarebbe alcun elemento idoneo a giustificare il diniego di VIA.

Anche le osservazioni della ASL non sarebbero determinanti perché nella cava n. 67 non esiste alcun ammasso roccioso sovrastante, ammasso che invece è presente nella confinante cava 102, gestita dalla Gemignani e Va. la quale, infatti, aveva previsto nel proprio piano un intervento di alleggerimento.

Il fatto di aver accomunato le tre cave (102, 66 e 67), trattandole congiuntamente e analogamente, nonostante due di esse (66 e 67) non presentino alcun ammasso roccioso sovrastante, sarebbe dunque frutto di un palese travisamento dei fatti, anche considerando che la cava 67 è esposta ad ovest.

Anche il parere della Soprintendenza Mibact prot. n. 11911 del 14.12.2018 sarebbe estraneo all'ambito di interesse della ricorrente, la quale non aveva previsto nel proprio piano alcuna erosione del profilo montuoso.

In generale, agli atti del procedimento, non sussisterebbe alcun atto o documento che dimostri una benché minima istruttoria.

Anche il parere della Soprintendenza, sebbene richiami un sopralluogo effettuato in data 10.12.2018 (solo due giorni prima della seduta finale della Conferenza di servizi), non sarebbe adeguatamente suffragato dagli atti, oltre ad esprimere una valutazione di merito incongrua rispetto agli specifici luoghi interessati. Anche in questo caso il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi sul pertinente motivo di ricorso articolato in primo grado;

    Eccesso di potere per contraddittorietà; violazione e/o falsa applicazione di legge per difetto di adeguata istruttoria.

Risulta dalle conclusioni della conferenza di servizi che alcune cave (le nn. 68, 70, 103, 105, 106) hanno ottenuto parere di compatibilità ambientale favorevole per i rispettivi piani di coltivazione; mentre per altre (nn. 66, 67 e 102) il parere è stato negativo.

Tale circostanza sarebbe sintomatica della contraddittorietà dell'agire del Comune e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla Conferenza di Servizi.

Il coordinamento dei piani, richiesto dalla stesse amministrazioni, sarebbe infatti completamente saltato per la divisione del comprensorio Bettogli-Calocara in due blocchi, il primo considerato positivamente, il secondo negativamente.

Il TAR non avrebbe quindi correttamente valutato l'interesse pubblico ad una ordinata lavorazione del comprensorio marmifero; né avrebbe valutato che il piano di coltivazione "coordinato" era stato imposto dal Comune, pur essendo ben noto che lo "Zucchetto" sovrasta direttamente solo tre cave (le nn. 66, 67 e 102);

    Eccesso di potere per sviamento; Mancato contemperamento dei contrapposti interessi.

L'appellante, ha infine riproposto il motivo secondo cui non sarebbe stato effettuato un corretto bilanciamento tra l'eventuale "sacrificio" ambientale e gli interessi, economici, occupazionali, di sviluppo del territorio, diffusi e collettivi connessi all'intervento in questione, anche tenuto conto che l'intervento in esame concerne esclusivamente la prosecuzione di una preesistente attività estrattiva.

Dalla data di scadenza temporale della vigente autorizzazione, la cava 67, gestita dalla odierna ricorrente è stata costretta a chiudere del tutto la propria attività.

Gli effetti che tale chiusura ha comportato per la ricorrente medesima e per tutta la "filiera" sono stati ingentissimi.

    Si sono costituiti, per resistere, il Mibact e il Comune di Carrara.
    Le parti hanno depositato memorie in vista della trattazione del merito.
    Il Comune e la società appellante hanno depositato anche memorie di replica.
    L'appello, infine, è passato in decisione - ai sensi dell'art. 84, commi 5 e 6 del d.l. n. 18 del 2020 - alla pubblica udienza del 16 luglio 2020.
    Per una migliore comprensione dei fatti di causa giova premettere i contenuti del provvedimento impugnato.

9.1. Come rilevato dal TAR, il diniego di VIA è il "risultato congiunto di una pluralità di pareri rilasciati in seno alla conferenza di servizi" tra cui vengono in rilievo, in particolare, quello reso dalla competente Azienda USL nonché dalla Soprintendenza Mibact.

La prima in seno alla Conferenza di Servizi ha messo in luce (pag. 4) che "Le cave n. 66 e n. 67 e n. 102 devono essere raccordate nelle coltivazioni. [...] Le coltivazioni proposte a cielo aperto per le cave n. 102, 66 e 67 non possono prescindere dall'alleggerimento dell'ammasso roccioso sovrastante. Il piano oggetto di valutazione prevede invece un ulteriore aumento della pendenza media del versante nord del Monte Bettogli con incremento dei rischi potenziali di movimenti di roccia incontrollati sui cantieri. Non prende in esame peraltro la possibilità di escavazione in galleria".

La seconda, nel parere del 14.12.2018, ha osservato che "la soluzione progettuale proposta per la porzione del rilievo corrispondente al crinale individuato dalle quote 702,4 - 693,50 - 694,60 mt ml [...] intercetta secondo un impatto significativo ed una consistente erosione il profilo montuoso".

Tale valutazione è stata confermata anche nella nota prot.n. 3868 del 9 aprile 2019, richiamata dal TAR, in cui la Soprintendenza ha sottolineato come l'ammasso roccioso cui fa riferimento la ASL "non è altro che il crinale vincolato in senso paesaggistico che il progetto di escavazione prevede di asportare, proprio in corrispondenza della cava 102. L'asportazione di questo crinale, curiosamente derubricato a  nel pittoresco lessico estrattivo, è previsto nella cava 102 ma ne avrebbero beneficiato anche le limitrofe 66 e 67, ugualmente esposte ai paventati crolli di roccia. Se il crinale è vincolato e quindi non asportabile, le lavorazioni delle tre cave (102,66 e 67) non possono svolgersi in sicurezza, essendosi ormai spinte troppo a ridosso del crinale stesso. Questo metodo di lavorazione, detto del , prevede la progressiva asportazione, tramite bancate di lavorazione, del versante montano marmifero, talvolta sino a determinare condizioni di rischio per crolli, spesso puntualmente segnalate ai competenti servizi ASL che si vedono così costretti a prendere o suggerire provvedimenti di messa in sicurezza, talora molto impattanti sul territorio. Nel caso in esame invece la messa in sicurezza è semplicemente impraticabile, data la conclamata valenza paesaggistica del crinale del quale si chiede l'asportazione, giustamente negata con la bocciatura del piano di coltivazione relativo alla cava 102".

9.2. La conferenza di servizi, nella seduta del 14.12.2018, ha quindi espresso parere favorevole, con prescrizioni, relativamente ai piani di coltivazione per le cave nn. 68, 70, 103, 105 e 106, mentre ha espresso parere contrario per le cave nn. 66, 67 e 102.

9.3. Sulla scorta di tali risultanze, il Dirigente dei Servizi Ambientali del Comune ha infine rigettato l'istanza di VIA.

    Pure di rilievo, nella fattispecie, sono le disposizioni del PIT della Regione Toscana (Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico).

Per quanto qui interessa:

- tra gli obiettivi generali di tutela della c.d. "invariante strutturale" rappresentata dai "caratteri idrogeomorfologici dei bacini idrografici e dei sistemi morfogenetici" figura la "protezione di elementi geomorfologici che connotano il paesaggio, quali i crinali montani e collinari, unitamente

alle aree di margine e ai bacini neogenici, evitando interventi che ne modifichino la forma fisica e la funzionalità strutturale" (art. 7, comma 2, lett. d);

- con specifico riferimento alla "compatibilità paesaggistica delle nuove attività estrattive, della riattivazione di cave dismesse, degli ampliamenti di attività estrattive esistenti e delle varianti di carattere sostanziale di attività esistenti" (queste ultime espressamente definite all'art. 17, comma 2), è previsto che tali interventi "non devono interferire in modo significativo", tra le altre componenti con: [...] "c) crinali e vette di interesse paesaggistico che presentano caratteristiche di integrità morfologica ovvero che non hanno subito modifiche tali da determinare il venir meno della caratteristica fisica e geomorfologica delle stesse, fatto salvo quanto previsto dalla disciplina dei beni paesaggistici e dalle schede dei bacini estrattivi".

    Ciò posto, con un primo ordine di rilievi, la società ha riproposto le censure di carattere procedimentale, respinte dal TAR in considerazione del fatto che, non sussiste "un diritto di parte ricorrente ad ottenere un più ampio termine per presentare memorie [...], ciò anche in relazione all'ampia partecipazione della parte all'iter procedimentale e ai lunghi tempi di svolgimento della conferenza di servizi".

11.1 Ricorda il Collegio che, sebbene non sussista un "diritto" ad ottenere un termine più ampio rispetto a quello prescritto dall'art. 10 - bis della l. n. 241/90 per la presentazione di osservazioni, tuttavia la congruità del termine concesso deve essere valutata in rapporto alla necessità di rendere concreto ed effettivo il diritto di partecipazione al procedimento.

In ogni caso, le norme sulla partecipazione vanno interpretate "non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione" (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256).

Nel caso di specie, la società ricorrente non è stata tuttavia in grado di indicare, neanche in sede di appello, quale ulteriori elementi, idonei a determinare una diversa determinazione da parte dell'amministrazione, avrebbe rappresentato in sede procedimentale se le fosse stata concessa la proroga richiesta.

    Per quanto concerne la riproposta censura relativa all'assenza di una specifica motivazione del diniego di compatibilità paesaggistica riferito alla cava n. 67, è rimasta priva di idonea critica la statuizione della sentenza impugnata (par. 7.3) secondo cui "Il problema della necessaria eliminazione dell'ammasso roccioso sovrastante, al fine di rendere sicure le lavorazioni anche nella cava n. 67, e della contemporanea preclusione a tale eliminazione, alla luce della normativa del PIT, si pone indifferentemente per la cava n. 102 come per la n. 67. Il rilievo che "l'ammasso roccioso" sia ascrivibile solo alla limitrofa cava n. 102, cioè che sia di pertinenza della stessa, non sposta il problema; come è stato icasticamente osservato, i crolli di roccia non guardano ai confini di cava, e il c.d. zuccotto, pur ubicato nella cava 102, incombe anche sulle altre cave n. 66 e 67, essendo peraltro del tutto imprevedibili le quantità e le direzioni di caduta di eventuali materiali rocciosi".

12.1. L'appellante ha peraltro riproposto anche l'impugnativa della determina n. 95 del 29.1.2019, recante il rigetto dell'istanza di VIA della cava n. 102, ed in particolare le censure relative alla violazione dell'art. 17, comma 3, lett. c) del PIT della Regione Toscana

Al riguardo, il TAR (par. 7.5.) ha osservato che l'attività estrattiva oggetto di autorizzazione "per essere autorizzata, nell'ottica di sicurezza evidenziata dalla USL, presupporrebbe un'incidenza significativa su crinale ancora in essere, crinale da considerare integro, nel senso che nella sua parte sommitale non è interessato da tagli derivanti dall'attività estrattiva; l'eliminazione della suddetta sommità verrebbe a determinare una sicura incisione su un profilo paesaggistico, modificando significativamente lo skyline del monte come osservato dalla città, in tal modo violando (oltre alla specifica disposizione dell'art. 17, comma 13 cit.), anche la generale previsione dell'art. 7 del PIT, che reclama la "protezione di elementi geomorfologici che connotano il paesaggio, quali i crinali montani e collinari, unitamente alle aree di margine e ai bacini neogenici, evitando interventi che ne modifichino la forma fisica e la funzionalità strutturale". Né può portare agli esiti voluti da parte ricorrente il richiamo all'esigenza di contemperamento tra interessi contrapposti; il rispetto delle norme invocate del PIT esclude che possa darsi luogo al taglio della vetta senza incidere su espressa previsione di salvaguardia; né è ipotizzabile un assentimento che rischi di pregiudicare le condizioni di sicurezza dei lavoratori; d'altra parte, in senso contrario, sono invece percorribili ipotesi di coltivazione alternativi, come dimostrano i nuovi progetti che risultano depositati per superare i problemi evidenziati".

12.2. A fronte delle diffuse argomentazioni elaborate da parte ricorrente in ordine all'interpretazione del termine "integrità morfologica", il Collegio rileva, in primo luogo, che nelle disposizioni del PIT non esiste una definizione predeterminata e vincolata di tale concetto, come pure di quello relativo alla "significatività" dell'impatto paesaggistico di un determinato intervento.

Essi vanno quindi concretamente declinati dalle autorità preposte alla gestione del vincolo.

Si tratta, come noto, di un giudizio connotato da discrezionalità tecnico-valutativa poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche, caratterizzate da ampi margini di opinabilità.

Tale giudizio, pertanto, è sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione nonché dell'adeguata motivazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche.

In sostanza, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4466).

12.3 Alla luce di tali coordinate esegetiche, nel caso di specie, non risultano quindi sufficienti ad incrinare la legittimità del diniego impugnato le argomentazioni attraverso cui l'appellante tenta di accreditare uno specifico significato delle disposizioni del PIT - le quali risulterebbero inidonee a tutelare singole parti o porzioni del crinale interessato dall'intervento - ovvero di affermare che l'asportazione della sommità del crinale sia compatibile con il contesto paesaggistico locale (il c.d. "paesaggio di cava").

Esse si limitano infatti ad offrire una valutazione alternativa degli obiettivi perseguiti dal PIT la quale però non trova in esso nessun riscontro, né sul piano letterale né su quello sistematico.

A ciò si aggiunga che, secondo i principi generali della valutazione di compatibilità paesaggistica, un elemento fondamentale è costituito dal dato della percezione visiva della modificazione dello stato dei luoghi (Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2018, n. 5850).

Nel caso di specie, agli atti del processo di primo grado è lo studio "fotovisuale" presentato nel procedimento di VIA (cfr. il documento 17 depositato dal Comune in primo grado) dalle cui simulazioni risulta evidente l'immediata percepibilità della modifica dello skyline - per effetto del taglio della sommità del crinale - almeno per quanto riguarda la visuale prospettica che dalla città di Carrara si estende verso la montagna.

Al riguardo, deve infatti convenirsi con la civica amministrazione che "guardando dal mare" verso i monti il crinale appare integro.

Tale cono visuale non risale poi ad una scelta del Comune o della Soprintendenza bensì forma oggetto di specifica valorizzazione nell'ambito dello stesso PIT, il cui elaborato 3B - Sezione 4 (depositato dal Comune in primo grado al n. 4), considera specificamente l'elemento della percezione dei rilievi montani della Alpi Apuane dalla fascia costiera.

Deve quindi escludersi che il Comune e la Soprintendenza abbiano fatto un'applicazione astratta delle norme di tutela, o, comunque, non correlata alla concreta situazione dei luoghi.

12.4 Le considerazioni che precedono valgono a respingere anche il terzo mezzo di appello poiché la documentazione depositata in primo grado, anche dalla stessa ricorrente, dà ampiamente conto dello svolgimento di una approfondita analisi dei progetti in sede di conferenza di servizi, nonché dell'effettuazione di un apposito sopralluogo da parte della Soprintendenza, unitamente agli uffici competenti della Regione Toscana, in data 10 dicembre 2018.

12.5 Priva di fondamento è altresì l'interpretazione elaborata dall'appellante in ordine al parere reso dalla competente Azienda USL, secondo cui la stessa avrebbe assentito una "deroga" al criterio di salvaguardia assoluta del crinale.

In primo luogo, la piana lettura di tale parere (pag. 4 del verbale del 14 dicembre 2018) consente di apprezzare che l'ing. Pellegri, intervenuta per l'azienda sanitaria, si è limitata a sottolineare che dal punto di vista della sicurezza "Le coltivazioni proposte a cielo aperto per le cave n. 102, 66 e 67 non possono prescindere da un alleggerimento dell'ammasso roccioso sovrastante [...]".

Si tratta di un giudizio obiettivo e non già di un atto di gestione del vincolo paesaggistico che, peraltro, non compete a tale amministrazione.

Non giova poi alla ricorrente richiamare l'art. 17, comma 16, del PIT, nella parte in cui fa salve "le varianti imposte da provvedimenti delle Autorità competenti in applicazione del DPR 128/59 del D.lgs. 624/96 e della Guida operativa per la prevenzione e sicurezza delle attività estrattive della Regione Toscana e del Servizio Sanitario della Toscana o comunque resi necessari a seguito di diffide, ordinanze o provvedimenti di sicurezza emanati dagli uffici di polizia mineraria o dal Comune o da altra autorità competente".

La collocazione della disposizione - successiva al comma 15, secondo cui "Le procedure relative alle attività estrattive che alla data di approvazione del presente Piano abbiano già conseguito l'autorizzazione paesaggistica ai sensi del Codice o, ove questa non sia dovuta, la pronuncia di compatibilità ambientale ai sensi della L.R. 10/2010 e della L.R. 65/1997 sono fatte salve" - chiarisce che si tratta di una disposizione transitoria relativa alla messa in sicurezza di attività già autorizzate alla data di approvazione del PIT e non già all'approvazione di nuove attività estrattive o alle loro varianti sostanziali che debbano essere sottoposte a VIA su iniziativa dei privati.

12.6. Giova infine ricordare che la valutazione della sostenibilità ambientale di un progetto prevede anche lo studio della c.d. "opzione zero" o, comunque, di localizzazioni alternative (cfr., ex multis, Corte giustizia UE sez. II, 7 novembre 2018, n. 461 in causa C 461/17), la cui concreta percorribilità, nel caso di specie, è dimostrata dal fatto che la ditta ricorrente, unitamente a quelle titolari delle autorizzazioni relative alle cave nn. 102 e 66, ha presentato un nuovo piano di coltivazione coordinato che è stato approvato nelle more del giudizio di appello (nello specifico, con determinazione prot. n. 2988 del 22.11.2019, depositata in atti dal Comune di Carrara).

    Pienamente condivisibili sono poi anche le argomentazioni con cui il TAR ha respinto le censure di contraddittorietà dell'azione amministrativa, dalla ricorrente ravvisata nel fatto che, sebbene la VIA avesse ad oggetto Piani di coltivazioni "coordinati", solo in relazione ad alcune cave si è giunti ad un esito negativo.

E' infatti del tutto pertinente il rilievo del primo giudice secondo cui "Il necessario coordinamento tra i vari piani di coltivazione, per avere una visione e valutazione unitaria, non esclude infatti poi il necessario riferimento alle singole caratteristiche di ciascuna cava, laddove solo per alcune di esse si presentino ostacoli normativi che giustificano il diniego di VIA o di coltivazione. Nella specie la tematica specifica, posta a base del provvedimento gravato, interessa solo alcune cave e non poteva quindi estendersi alle altre che quelle problematiche non avevano".

E' altresì evidente che, sull'esigenza di coordinamento delle coltivazioni, è ragionevolmente prevalsa quella di salvaguardia del crinale, oggetto di specifica tutela da parte del PIT.

    Relativamente al preteso mancato contemperamento degli interessi contrapposti, si è già accennato all'esistenza di un piano di coltivazione alternativo, autorizzato nelle more dell'appello, di cui il Comune di Carrara ha efficacemente dimostrato la sostanziale assimilabilità a quello oggetto di impugnativa, sia in termini di volume (30% di quello precedentemente autorizzato, come prevede l'allegato 5 del PIT in attesa dell'approvazione dei Piani di attuazione dei bacini estrattivi) che di estensione temporale, fissata al 2023 ai sensi dell'art. 38, comma 3, della legge della Regione Toscana n. 35 del 2015.

Non vi è stato dunque, a ben vedere, un totale sacrificio dell'iniziativa imprenditoriale dell'appellante, bensì soltanto l'esclusione di una delle sue possibili localizzazioni in quanto la stessa avrebbe comportato non semplicemente la modifica bensì la rimozione del bene ambientale protetto e con, essa, un irrimediabile vulnus al paesaggio e al territorio.

    In definitiva, per quanto appena argomentato, l'appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 1234 del 2020, di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado che liquida complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti, in favore di ciascuna delle parti resistenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 - tenutasi in videoconferenza da remoto - con l'intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente FF

Daniela Di Carlo - Consigliere

Francesco Gambato Spisani - Consigliere

Silvia Martino - Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro - Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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